NODI CRITICI DI TREVISO / 4 APRILE 2020

NODI CRITICI DI TREVISO / 4 APRILE 2020

Il più evidente è il traffico di automezzi perché coinvolge la grande maggioranza dei cittadini col tempo di vita perso in coda e ricerca di parcheggi, costi per spreco di carburante, multe e incidenti.
Vi sono altri costi, meno evidenti ma più pesanti:
a) l’inquinamento dell’aria (stabilmente sopra o appena sotto il livello di pericolosità) che provoca morbilità diffusa con relativi costi per il Servizio sanitario pubblico;
b) costo di manutenzione del manto stradale (circa 600 mq. pro capite) usurato per l’eccessivo traffico, a carico del Comune;
c) scarsa efficienza ed elevato costo del trasporto pubblico;
d) disuguaglianza tra chi si può permettere l’elevato costo del vivere in centro storico (godendo della possibilità di uscire a piedi e della bellezza della città), e il 90% dei cittadini che risiedono in periferia.
Questo caotico traffico cittadino è generato dalla gestione politica dell’espansione urbana attuata dal dopoguerra ad oggi, o stravolti nella pratica amministrativa.


Nel dettaglio:

• 1946 – il P.R.G. Alpago Novello indica direttrici di espansione di edilizia compatta a carattere centrale e cunei verdi che dalla campagna arrivano alle mura – indicazione ignorata.

• Fine anni ’50 – il piano PEEP tiene il Consiglio comunale impegnato per sei mesi per la presentazione di un contropiano del PCI che viene parzialmente accolto dal Consiglio superiore dei LLPP. Prevedeva l’edilizia popolare in rafforzamento alle frazioni, ma non viene attuato.

• 1968 – Il P.R.G. Amati (ottimo tecnicamente e per gli standard urbanistici) prevede, su richiesta della giunta DC – PSDI, un aumento della popolazione a 170.000 abitanti, e 3343 ettari edificabili, pari al 60% del territorio comunale. Si consideri che il massimo degli abitanti si ha nel 1975 con 91.000 residenti, poi comincia la curva discendente. Ora, 2020, siamo a 84.000. La maggioranza cancella del P.R.G. Il Piano Particolareggiato del Centro Storico, dove si opererà con varianti d’uso e deroghe. Ciò consente l’espulsione di ceti deboli (i cui alloggi sono sostituiti da uffici etc.) dal centro, e l’aumento di valore degli edifici. Più avanti si farà un concorso per il piano particolareggiato del centro, che giace ignorato in qualche cassetto. Il P.R.G. ampio potenzia la rendita fondiaria con progressivo aumento del costo dei terreni edificabili e provoca lo sprowl. Il PC vota contro. Negli anni successivi si verifica quello che si temeva, a favore dei possessori di aree, costruttori, ricchi investitori. Il Comune facilita con varianti e deroghe.

• 1988 – la prima giunta di centrosinistra (col PCI) incarica l’arch. Di Benedetto di elaborare una variante generale al P.R.G. Amati, con l’obiettivo di correggere le storture derivanti da un utilizzo disordinato del P.R.G. e di adeguarlo alle esigenze presenti e future.

La successiva giunta della Lega tenta di imporre il ritorno al passato a Di Benedetto che rifiuta e se ne va. La giunta leghista affida la redazione di un nuovo piano caratterizzato dal ritorno alla logica precedente ad alcuni professionisti locali.

Da segnalare, durante le amministrazioni leghiste, il patto scellerato tra Gentilini, Gobbo, e De Poli chiamato “risico immobiliare”, a seguito del quale la collettività perse la disponibilità di molti edifici del centro storico (la Questura, il Tribunale, il complesso degli Uffici Tributari, la caserma della Guardia di Finanza, e ancora in ballo c’è la Camera di Commercio), e il centro cittadino perse gran parte delle sue funzioni istituzionali.

• Ultimo atto la gentrificazione, cioè il processo di sostituzione di vecchi edifici, in zone popolari del centro storico o in zone di pregio ambientale della prima periferia, con nuova residenza di lusso di grande metratura, per rispondere all’esigenza degli arricchiti di risiedere in zone più sicure, più comode, più belle. E insieme per realizzare una seconda quota di rendita fondiaria e di speculazione. Aumenta così la disuguaglianza trasferita, oltre al reddito, anche sulla qualità della vita.

Esempi:

L’ex cinema Edison che farà arrivare le auto fin quasi in Piazza dei Signori impedendo la pedonalizzazione del centro storico, l’ex Zanotti, che si è mangiato un bel pezzo di area verde in centro, il “bosco verticale” che contribuirà all’ingorgo del sottopasso ferroviario di Fiera, l’edificio a cinque piani previsto in Via D’Azeglio, che inizia lo snaturamento di una zona verde a villette della prima metà del ‘900.

E’ la legge del mercato, favorito dal Piano Casa di Zaia.

Intanto resta intatta la bolla edilizia: 4500 alloggi nel territorio comunale, che resteranno vuoti e invenduti, circa 400 milioni di euro inutilizzabili e improduttivi.

Cosa si sarebbe potuto fare con questa cifra?

C’è una logica aberrante che guida la politica del territorio in tutti questi anni: l’adesione al dogma liberista del “più privato meno stato” (vedi Von Hayek) che si traduce in ulteriore estrazione di valore dal processo di urbanizzazione, a vantaggio dei già ricchi e pagato in realtà da tutto il resto della popolazione.

Lo Stato smette di costruire case popolari o per il ceto medio (il massimo è stato in anni lontani il 7% di alloggi costruiti col piano Fanfani, ora si tende a zero) e si induce la popolazione a risolvere il problema abitazione col “mutuo casa”. In questo modo i cittadini pagano la rendita fondiaria ai privati, il premio alle banche, e sono relegati ad abitare nella periferia disorganizzata, accollandosene i relativi costi. Più classismo di così!

Che poi possano verificarsi bolle, come le 4500 case vuote e improduttive di Treviso, è la prova che il “mercato” non sa autoregolarsi.

Da notare che in questo periodo scompare l’industria nel capoluogo (una quindicina di aziende con circa 2500 operai di fabbrica complessivi) e la classe dirigente, costituita dagli imprenditori, si trasforma in classe dominante, i ricchi percettori di rendite.


SOLUZIONE


Pensare di risolvere il problema traffico con interventi a livello di sedime stradale (rotatorie, semafori, parcheggi, è illusorio. Potrà portare qualche sollievo modesto agli automobilisti ma non affronta il problema vero, che è la riduzione del numero di auto circolanti con la conseguente riduzione di gas climalteranti in atmosfera. Occorre modificare le ragioni della mobilità e i mezzi usati per gli spostamenti.
Occorre considerare il centro storico solo come parte antica della città, un quartiere quasi disabitato (vi risiede il 7% dei cittadini); usando un ossimoro: una periferia centrale. Mentre il 93% dei cittadini risiede in periferia, che è la città vera.
E’ la periferia che bisogna trasformare in città moderna, adeguata ai tempi futuri, alle necessità di fermare il riscaldamento della terra e l’emissione di CO2.


TRASFORMARE LA PERIFERIA
L’obiettivo è cambiare la qualità della vita di chi vi abita, portandola ad un livello analogo a quello dei ceti privilegiati che risiedono in centro.
Quindi non si tratta di lavori di “arredo urbano” come si sta attuando a S. Maria del Rovere, ma di una serie di interventi pubblici e privati, che potranno durare decenni, trasformando completamente il territorio della periferia e il modo di viverci, cancellando la stessa nozione di periferia.
Schematicamente si possono indicare le seguenti fasi:
• a) la tutela dei terreni agricoli esistenti, la piantumazione di alberi lungo tutte le strade, la trasformazione delle zone libere esistenti (es. il parco Uccio a S. Bona), e di altre da individuare, in boschi urbani in modo da contribuire alla depurazione dell’aria e da caratterizzare l’ambiente come “zona verde”.
• b) La costruzione di un sistema viario dedicato alla mobilità dei pedoni e ciclisti separato da quello riservato agli autoveicoli. Questo nuovo sistema viario dovrà essere dotato di passerelle per superare tutte le intersezioni col sistema degli autoveicoli. Dovrà collegare le frazioni esistenti in modo da rendere raggiungibili tutte le zone dove si addenseranno le scuole, i servizi commerciali, le strutture e i servizi pubblici.
• c) l’individuazione in tutti i maggiori aggregati di aree da trasformare in piazzette, piccole zone pedonali, giardini pubblici dove sistemare anche nuove strutture pubbliche di servizio (es. poliambulatori a S. Maria del Rovere e quartiere coordinato). Ciò consentirà l’arrivo, già avviato, di iniziative commerciali private che completeranno la dotazione di servizi.
Ne conseguirà la progressiva riduzione del traffico veicolare verso il centro storico e il minor bisogno di parcheggi, rendendo possibile l’ampliamento dell’area pedonale centrale.
E’ presumibile che la miglior qualità della vita nella periferia trasformata possa attirare nuova popolazione, rendendo utilizzabile almeno parte dei 4500 alloggi vuoti.
Utopia? No perché questo è il tipo di città necessario per rispondere alle richieste di
cambiamenti proposte dalla crisi climatica.
Sarà complesso e difficile realizzare la trasformazione della periferia nel quadro giuridico esistente. Dato che la questione riguarda la periferia di tutte le città italiane, sarà necessario pensare alla modifica della legislazione urbanistica, una riforma che riprenda il punto focale del progetto di riforma urbanistica presentato nel 1962 dal ministro democristiano Fiorentino Sullo appoggiato da PSI, PC e sinistra DC, affossato dalla alleanza tra proprietari fondiari e industria delle costruzioni. Il nodo era la distinzione tra proprietà dei terreni e diritto di edificazione (o di altro uso non agricolo delle aree) soggetto alle decisioni delle Amministrazioni pubbliche. Con ciò si sottrae al mercato la definizione del valore dell’area, consentendo ai Comuni di espropriare a valore di terreno agricolo. Nella presente situazione di sviluppo caotico delle periferie si renderà possibile la trasformazione delle periferie.
Contemporaneamente sarà più facile il contrasto all’abusivismo e la difesa del suolo.


CENTRO STORICO
Elementi negativi

  1. Perdita di popolazione, irrecuperabile se affidata all’iniziativa privata, che è interessata solo alla produzione di case di lusso (gentrificazione), fenomeno che produce un ulteriore aumento del costo degli edifici da sostituire – o dei pochissimi suoli disponibili – e che automaticamente esclude l’intervento pubblico per riportare ceti deboli in centro storico.
  2. Altra conseguenza: l’eliminazione di gran parte dei negozi di vicinato del settore alimentare e degli artigiani per l’alto livello degli affitti e l’esiguità della clientela.
  3. Perdita di funzione
    a) le funzioni pubbliche sono state in gran parte decentrate. Restano in centro solo prefettura, comune (ma alcuni uffici sono decentrati) e vescovado – la camera di commercio è destinata ad andarsene.
    b) la funzione di centro commerciale polivalente ha subito la pesante concorrenza dei troppi supermercati di diversa merceologia (dove si arriva in auto e c’è la comodità del carrello), ed è stata dequalificata – in Calmaggiore c’è una prevalenza di negozi di cosmetici, quasi tutti i negozi storici sono spariti e ora ci sono i primi vuoti.
    Si è tentato di ovviare a questi fenomeni “ importando” clientela con eventi, le grandi mostre, che inizialmente hanno avuto successo ma si sono rapidamente sgonfiate. Le ultime mostre, che hanno portato poche decine di migliaia di visitatori all’anno, troppo pochi, hanno fatto nascere solo qualche decina di ristoranti e bar, con vita difficile quando non ci sono mostre.
    E col turismo che ha fatto nascere una cinquantina di BeB e il fenomeno degli affitti brevi, si è creato un altro incentivo per l’espulsione di popolazione dal centro storico, peraltro garantito da capitale estraneo alla città.
  4. Accessibilità, sempre più difficile per la struttura e mancanza di un piano viario ( il PAT è incompleto). Se si attua la trasformazione della periferia in “città verde”, in parte cadranno le ragioni del venire in centro per il decentramento di strutture e servizi, in parte sarà semplificato l’accesso al centro da assi di traffico dedicato a pedoni e ciclisti. Con forte riduzione del traffico auto e minore necessità di parcheggi.
  5. L’Università è l’unica reale novità intervenuta negli ultimi cinquant’anni, capace di vivificare la città, ma è nata male, con spazi insufficienti (sarebbe stato necessario dedicare al campus almeno l’intero ex-ospedale dei Battuti), che hanno costretto a reperire altri spazi di là del Sile, con l’inutile spesa accessoria del ponte pedonale, e senza tener conto del traffico sul ramo interno del PUT. Nata male perché concepita non come entità autonoma ma come succursale dell’Università di Venezia e Padova, quindi priva di laboratori, biblioteche etc. E con scelta di insegnamenti che escludevano una crescita autonoma.
    Anche in questo caso la linea guida è la speculazione sull’area, non lo sviluppo della città, neanche pensando a quello che sarebbe stato il sito ideale, il complesso degli Uffici Tributari e caserma delle Finanze, che è stato privatizzato con perdita secca per i cittadini.
    Per il futuro, nel quadro di uno sviluppo della scuola e della ricerca necessario all’Italia, la trasformazione delle città in centro di ricerca, con facoltà autonome legate al territorio e relativi
    centri di ricerca, può essere una prospettiva reale, una specializzazione nel complesso dell’area metropolitana PD-TV-VE, capace anche di portare anche nuova popolazione e di sgonfiare la bolla delle 4500 case vuote.

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